Precario Stabile

Il sito contro ogni forma di precariato involontario

Breve esperienza di un aspirante ricercatore precario.

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La mia esperienza di lavoratore universitario è simile a quella di molti altri che hanno iniziato a lavorare nell’Università, affascinati dall’idea di poter “fare ricerca” o, i più ambiziosi, di iniziare la carriera accademica.

Io credo che fondamentalmente chi decide di lavorare all’Università con lo scopo di diventare ricercatore o docente, in qualche modo mette già in conto di dover affrontare periodi di incertezza contrattuale, o di veri e propri “chiari di luna”, ma sono altrettanto convinto che anche la persona più pessimista si troverà sempre a fare i conti con periodi di incertezza sempre molto più lunghi di quanto preventivato.

Subito dopo il conseguimento della laurea in Chimica, vinsi una borsa di dottorato triennale.

Il dottorato di ricerca nei dipartimenti scientifici rappresenta spesso l’anticamera del lavoro precario. Infatti, seppur formalmente il dottorando non è vincolato a nessun obbligo di presenza né di prestazione di servizio al dipartimento presso il quale svolge la ricerca, nella quasi totalità dei casi esso si trova a dover osservare veri e propri turni di lavoro in laboratorio che richiedono una presenza quotidiana costante. In altre parole, a fronte di una borsa di studio di poco più di 800 euro, il dottorando si trova spesso a “lavorare” come un normale ricercatore.

Il dottorando quindi si trova quindi in una condizione di lavoratore-studente: lavoratore per le responsabilità e gli oneri a cui deve di fatto far fronte, e studente per i diritti che gli vengono riconosciuti (niente contributi, impossibilità di accedere ad un prestito, niente malattie etc etc).

Che possibilità ha il dottorando, dopo i 3 anni di borsa, di poter continuare la propria linea di ricerca nell’Università? Chiaramente nessuno lo sa, a meno di coperture accademiche forti.

A questo punto, ci troviamo nel cuore dell’Odissea del precario universitario.

A questo punto riuscire a pianificare la propria vita lavorativa sperando in un posto all’università è di fatto impossibile, a prescindere dal proprio curriculum e dai propri meriti. Questi infatti possono fare la differenza nei concorsi, ma il problema è sapere con sufficiente anticipo se e quando ci sarà un concorso.

Personalmente, ho dovuto aspettare circa 7 mesi dalla fine del corso di dottorato, prima di poter accedere ad un nuovo posto all’università. 7 mesi in cui ovviamente non si percepisce uno stipendio, e non si sa nemmeno prevedere quando se ne percepirà un altro.

Cos’è allora che alimenta la voglia di voler provare comunque la strada universitaria?

Da una parte il fatto che a 3 anni dalla laurea e a 30 anni di età, le industrie ti considerano già non più interessante, perché non più giovane e facile da formare, dall’altra la “passione” per la ricerca.

Io ho scelto di rimanere all’università, vincendo un concorso per Tecnico Laureato con un contratto a tempo determinato di 5 anni. Quindi sempre precario…

Precario inoltre, perché ci si trova di nuovo con un contratto di lavoro che formalmente non rispecchia l’attività che svolgiamo.

I Tecnici laureati, o Tecnici di laboratorio, svolgono di fatto, nella stragrande maggioranza dei casi, la stessa attività dei ricercatori: fanno ricerca, spesso supportano anche le attività didattiche, pubblicano né più ne meno come i ricercatori, ma formalmente non lo sono.

Formalmente siamo personale amministrativo.

Questo è un problema che non riguarda però solo chi ha un contratto a termine, ma anche chi ha la fortuna di ricoprire un incarico a tempo indeterminato. Il problema sta nel ricorso sistematico alla figura del Tecnico ogni volta che c’è il bisogno di persone che facciano ricerca, dato che i posti di Ricercatore sono assolutamente inferiori alle necessità.

Le contraddizioni di questa situazione sono innumerevoli: la prima ad esempio sta nell’impossibilità di poter rispettare gli orari fissi e gli impegni dettati dalle condizioni contrattuali, con le attività di ricerca che in un laboratorio non possono di fatto essere vincolate a degli orari.

C’è poi la guerra tra i poveri, o per rimanere in tema, la guerra tra i precari: rispetto agli assegnisti di ricerca, precari per 4 anni, noi tecnici abbiamo ad esempio minori opportunità di poter vincere un concorso di ricercatore, perché ricopriamo una posizione di minor prestigio accademico.

Il dramma di chi vuole far ricerca sta nel doversi accontentare di contratti a tempo determinato, borse, assegni, e altri espedienti fino a quando si avrà la fortuna di poter accedere ad un posto stabile. Gli aspiranti ricercatori soffrono a causa del sistema universitario, sia a causa delle nuove regole del marcato del lavoro. Incerti e precari quindi.

Concludendo, alla fine del mio contratto di 5 anni avrò 35 anni e una figlia di 4 anni, e nessuno può prevedere quando ci sarà il prossimo concorso a cui potrò partecipare, di sicuro so che non potrò stare altri 7 mesi senza stipendio.

Comincio a chiedermi se il gioco vale la candela.

Written by precariostabile

luglio 10, 2006 a 9:14 am

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